Cocomero love…

cocomero_we heart itE anche quest’anno l’estate è arrivata e con l’estate è possibile gustare vari tipi di frutta, tra cui uno dei più gustosi e poco zuccherati, il cocomero.

Un frutto che si può mangiare in qualsiasi ora e posto, a me piace gustarmelo sul balcone la sera osservando il bellissimo tramonto marino in compagnia.

Secondo alcuni studi condotti presso l’Università della Florida, è stato dimostrato che anche il cocomero ha proprietà benefiche, soprattutto nelle fasi iniziali che riguarda l’ipertensione, i risultati sono stati pubblicati sul giornale American Journal of Hypertension.

Questo alimento ha poche calorie, è ricco di carotenoidi, che sono antiossidanti con azione antitumorale, proteggono il sistema cardiovascolare, ed aumentano le difese immunitarie, inoltre contiene vitamine B6, vitamina C, vitamina A e fibre.

Il cocomero  contiene anche una sostanza che si chiama L-Cittrulina, che agisce sulla regolazione della pressione del sangue, infatti rende maggiormente elastiche le pareti dell’arteria.

Questa sostanza, una volta entrata nel nostro organismo viene convertita nell’aminoacido L-arginina, si forma nell’acido nitrico che agisce sui vasi sanguigni, regolando il tono e la circolazione.

Ai pazienti che hanno problemi di pre-ipertensione, viene somministrato normalmente L-arginina sotto forma di integratore, ma la sua assunzione causa i cosiddetti effetti collaterali, come nausea e diarrea, mentre il cocomero non provoca ciò.

Curare la pre-ipertensione è molto importante per evitare infarti e ictus, mangiare il cocomero e fare uso delle sue proprietà benefiche, significherebbe ridurre il consumo dei farmaci antipertensivi, limitandone gli effetti collaterali .

L’ecologia ambientale.

L’ecologia è la branca delle scienze naturali che studia l’ecosfera, ossia la porzione della Terra in cui è presente la vita in aggregati sistemici detti “ecosistemi”, le cui caratteristiche sono determinate dall’interazione degli organismi tra loro e con l’ambiente circostante o ancora porzioni dell’ecosfera stessa. L’ecologia rappresenta il trait d’union tra le scienze della terra e le scienze della vita. L’ecologia si occupa di cinque livelli di complessità del vivente: le popolazioni, le comunità, gli ecosistemi, i paesaggi o biomi, l’ecosfera.
Una porzione di biosfera delimitata naturalmente può contenere un ecosistema; i fattori ambientali che determinano un ecosistema sono solitamente classificati in fattori biotici, abiotici e limitanti; ecosistemi di livello inferiore possono essere contenuti in ecosistemi più ampi. Più ecosistemi, aggregandosi, formano un paesaggio e più paesaggi compongono l’ecosfera, massimo livello di aggregazione della materia vivente.
Il termine ecologia fu coniato dal biologo tedesco Ernst Haeckel nel 1866. Egli la definì come “l’insieme di conoscenze che riguardano l’economia della natura; l’indagine del complesso delle relazioni di un animale con il suo contesto sia inorganico sia organico, comprendente soprattutto le sue relazioni positive e negative con gli animali e le piante con cui viene direttamente o indirettamente a contatto. In una parola, l’ecologia è lo studio di tutte quelle complesse relazioni alle quali Darwin fece riferimento come alle condizioni della lotta per l’esistenza”. In questa sua definizione considera la radice del termine “oikos”, che è la stessa del termine economia
La Teoria dei sistemi viventi è un elemento fondamentale dello studio ecologico. Un altro elemento importante è la Teoria della selezione naturale.
Ci sono molte iniziative ai giorni d’oggi verso l’ecologia! Il mondo è trascurato da noi umani e preferiamo far venire avanti i nostri comodi avanti alla natura. Un giorno la natura sicuramente si ribellerà a questo nostro gesto. Ci sono le energie rinnovabili che sono predisposte verso l’ecologia, ma dato che per certi versi siamo un paese un po’ regredita preferiamo la sempre e sola energia normale, anche quando c’è la possibilità di inquinare meno e aiutare l’ambiente. Ecologia

La nostra città…

PISTOIA

I primi documenti storici della Pistoia romana risalgono al II secolo a.C., periodo nella quale la città risultava essere un piccolo nucleo di approvvigionamento militare romano e ciò un Oppiudium.

La nascita di Pistoia è legata, quindi, all’avanzare dei Romani verso nord, e plagiare le tribù locali, in particolare Liguri.

Il suo stesso nome Pistoria, Pistoriae e Pistorium, che presumibilmente deriva da Pistores, nome con il quale venivano indicati i fornai che impastava il pane per le truppe dell’esercito romano.

Con il prolungamento della via Cassia fino a Lucca, Pistoia consolidò la sua importanza sul territorio, anche se nel gennaio del 62 a.C., nei pressi dell’attuale città e probabilmente nelle colline di Campo Tizzoro, veniva ucciso il senatore romano Lucio Sergio Catilina (nella Battaglia di Pistoia), ponendo così fine alla cosiddetta Congiura di Catilina, che cercava di mutare radicalmente la Repubblica romana e instaurare una dittatura.

Pistoia di oggi si rispecchia nello stile medievale del VIII secolo, arrivato per l’appunto con i Longobardi: principale testimonianza di tale periodo è proprio la Piazzetta della Sala, uno degli angoli urbani più rappresentativi di Pistoia. La piazzetta è conosciuta oggi per ospitare il mercato rionale e prende il nome dal palazzo un tempo presente (la curtis domini regis), dimora del funzionario delegato del re, il Gastaldo. Le vie che collegavano la piazza con le porte di accesso alla città erano infatti chiamate ’regis’, è il caso delle attuali via di Stracceria e via della Torre.

Il mercato di Piazza della Sala ha anch’esso origini antiche, nato come mercato alimentare era probabilmente già presente nel periodo comunale, periodo nel quale l’amministrazione politica si spostò nella piazza del Duomo, con la costituzione del Palazzo degli Anziani (l’attuale Palazzo Comunale). Le botteghe iniziarono a svilupparsi da semplici bancali in pietra e con sportelloni in legno, mentre la vendita degli alimenti veniva gestita dall’Opera di San Jacopo, un’istituzione civica creata dai membri dell’allora consiglio comunale e quindi sviluppatasi come Ente assistenziale. Il culto di San Jacopo a Pistoia ha radici antiche e pare essersi originato nell’anno 886 durante il periodo delle incursioni saracene lungo le coste tirreniche, e nel momento in cui la popolazione chiese in preghiera la protezione di San Giacomo, poi diventato San Jacopo.

Nel XII secolo la Pistoia dei Vescovi divenne la Pistoia dei Consoli. Cambiarono cioè le istruzioni di governo e di amministrazione urbana, fino ad allora in mano al potere ecclesiastico che aveva governato la città dal Palazzo dei Vescovi; quest’ultimo appariva a quel tempo come una vera e propria fortezza. Con i Consoli la città iniziò a contraddistinguersi per crescita economica e civica: nel 1150 Pistoia divenne un comune autonomo di fazione ghibellina (pro-imperatore), alleata con Pisa e Siena, e nel 1177 venne divulgato il primo statuto cittadino, chiamato ‘Statuto dei consoli del Comune di Pistoia’. Gli scontri tipici della fase comunale italiana furono registrati anche a Pistoia, che infatti fu caratterizzati dagli scontri degli opposti movimenti Guelfa e Ghibellina. Nel complesso, furono comunque gettate le premesse di un’importante crescita urbana, sia con l’edificazione di una seconda cinta muraria e sia con la nascita di nuove strutture architettoniche, tutte erette secondo lo stile romanico dell’epoca.

Bianchi e Neri,erano i nomi usati dalle due opposti movimenti dei Guelfi di Firenze, nate dopo la cacciata dei Ghibellini dalla città e formatesi allo scopo di assumere il controllo politico ed economico del territorio, la rivalità arrivò fino a Pistoia. Dopo l’accerchiamento di Pistoia del 1306, in cui gli abitanti mostrano valorosa resistenza per 11 mesi, la città passò nelle mani dei lucchesi e di seguito in quelle di Castruccio Castracani, già signore di Lucca, dopo aver sconfitto le truppe guelfe fiorentine. Nel 1325, dopo che Pistoia era stata momentaneamente tenuta in piedi da Ormanno Tedici, il nipote Filippo Tedici aprì di nascosto le porte della città al Castracani, in cambio della nomina a Capitano del Popolo.

Nel periodo rinascimentale, Pistoia risultava del tutto assoggettata al potere politico, culturale ed economico di Firenze. Vi fu una grande stagione di rinnovamento e di riqualificazione del tessuto urbano e sociale, oltre che artistico. Il potere fiorentino a Pistoia venne confermato nuovamente dalle vicende delle famiglie nobiliari pistoiesi; le continue lotte tra quelle rivali portarono al tentativo di nozze segrete di alcuni membri delle famiglie più in vista e al conseguente scontro civile, tra il 1401 e il 1402. Il risultato fu il completo controllo della città da parte di Firenze e quindi dal XVI secolo del Granducato mediceo a Pistoia, con la famiglia de’ Medici, alla quale la città si legò anche culturalmente e artisticamente. La terza cinta muraria di Pistoia venne completata proprio durante il governo di Cosimo I de’Medici.

Nei secoli successivi la crescita urbana di Pistoia si espande oltre le mura rinascimentale. Durante la dominazione francese la città si ritrovò a far parte di uno dei tre dipartimenti territoriali francesi in Toscana, e fu amministrata da un prefetto. Nel XIX secolo Pistoia si interessò ai moti rivoluzionari per l’Unità d’Italia e alla invocata libertà del dominio austriaco.  Come il resto della Toscana, la città  venne aggiunta nel Regno d’Italia nel 1861. Il contributo servito dai pistoiesi e dalla città durante la Seconda guerra mondiale le valse il riconoscimento della medaglia al Valor militare per la Guerra di liberazione contro l’occupazione nazifascista.

Monumenti

La Città di Pistoia è particolarmente ricca di pregevoli monumenti romanici e rinascimentali e soprattutto può vantare una delle più suggestive piazze d’Italia: piazza del Duomo, monumentale fulcro sia del potere civile che ecclesiastico che comprende svariate architetture.

  • La Cattedrale di San Zeno, intitolata a San Zeno vescovo, che custodisce al suo interno l’altare argenteo di San Jacopo. Costruita nell’alto medioevo, fu distrutta da due incendi e quindi ricostruita nel XIII secolo e successivamente rimaneggiata fino all’epoca moderna. Il suo aspetto esterno risale al XIV secolo; l’interno a tre navate è originario del Trecento, abbellito da affreschi seicenteschi e numerosi quadri. Sotto al presbiterio si trovano i resti visitabili di una villa romana di età imperiale e della chiesa originaria. L’altare di San Jacopo, a cui lavorò anche Filippo Brunelleschi, è un capolavoro dell’oreficeria sacra e fu realizzato tra il 1287 e il 1456.
  • La torre del campanile, costruito su di un’antica torre di origine longobarda, in stile romanico; è diviso in tre ordini di loggette e provvisto di cella campanaria con tanto di cuspide che a causa di terremoti che flagellarono la città in epoca tardo-medievale venne rifatta più volte. Costruito nel XII secolo, l’aspetto attuale risale al 1576; raggiunge un’altezza totale di 67 metri ed è uno dei più bei campanili d’Italia.
  • Il Battistero di San Giovanni in corte del XIV secolo, in stile gotico, con decorazioni in marmi bianco-verdi. A pianta ottagonale e sormontato da una pittoresca cupola, progettato dalla bottega del celebre Andrea Pisano; al suo interno custodisce un fonte battesimale risalente al 1226.
  • Il Palazzo dei Vescovi composto da loggiato, al primo piano, in stile gotico e restaurato nel 1981. I sotterranei sono arricchiti da un importante percorso archeologico con scavi in sito di una stele etrusca di tipo fiesolano, una fornace romana e di tratti di mura dell’antica Pistoriae. Da non molti anni è aperto al pubblico ed è un raro esempio di museo dello scavo stratigrafico. Costruito sotto forma di palazzo fortificato nell’anno 1000, l’aspetto attuale risale al XII secolo quando fu trasformato in palazzo signorile; fu la residenza dei vescovi per ben 8 secoli.
  • Il Palazzo Pretorio o del tribunale anch’esso in stile gotico (ha perso negli interni parte del suo stile a causa dei lavori di ampliamento condotti nell’Ottocento). È famoso per il suo cortile interno con gli stemmi dei magistrati. Costruito nel XIV secolo e pesantemente rimaneggiato nell’Ottocento, fu da sempre la dimora di coloro che amministravano la giustizia. L’aspetto esterno, tuttavia, è simile all’originario. L’altra sede del Tribunale è il Palazzo San Mercuriale, dal nome del primo vescovo di Forlì, a cui era dedicato un monastero anticamente qui collocato.
  • Il Palazzo del Comune, con una bella facciata ornata di bifore e trifore. Iniziato nel XII secolo, raggiunse l’aspetto attuale solo nel 1350 circa. Un’importante ristrutturazione interna avvenne nel Cinquecento. Sulla facciata campeggiano lo stemma dei Medici e la testa del Re Negro Musetto di Maiorca, ucciso da un capitano pistoiese nel 1114. L’interno è ornato da bellissimi affreschi cinquecenteschi, sede del “Centro di Documentazione Giovanni Michelucci” e del Museo Civico.
  • L’ex chiesa di Santa Maria Cavaliera, costruita nel 979, subì molti rimaneggiamenti tanto che oggi è molto difficile individuare tracce dell’aspetto originario.
  • L’altomedioevale torre di Catilina, alta 30 metri. Il nome della torre deriva da una leggenda secondo la quale il corpo del generale romano Catilina fu sepolto in questa via, che si chiama appunto “Tomba di Catilina”.

 

Architetture religiose

 

In stile romanico:

  • chiesa di San Giovanni Fuorcivitas, con un’ampia decorazione in marmi bianchi e verdi. Iniziata nel XII secolo, fu ampliata nel XIV. All’interno si trovano bellissime opere scultoree, come il pergamo di Fra’ Guglielmo da Pisa, scolpito nel 1270, e la celebre Visitazione di Luca della Robbia, in terracotta invetriata, del 1445. Nell’interno sono da notare l’acquasantiera di Giovanni Pisano e il polittico medievale di Taddeo Gaddi, che rappresenta la Madonna in trono con San Jacopo, San Giovanni Evangelista, San Pietro e San Giovanni battista. Interessanti anche il crocifisso e il chiostro romanico, entrambi del Duecento.
  • chiesa di San Pier Maggiore, sconsacrata, costruita in epoca longobarda. La facciata è stata ultimata nel 1263, mentre l’interno è stato modificato nel 1640 e vi si trova un bell’organo ottocentesco. Anticamente il vescovo, al termine di una lunga processione, giungeva in questa chiesa dove si scambiava gli anelli con la badessa in una sorta di matrimonio mistico. Questa scena è rappresentata nel dipinto di Kristian Zahrtmann “il matrimonio mistico di Pistoia”.
  • chiesa di San Bartolomeo in Pantano, con un antico pergamo all’interno di Guido da Como.
  • chiesa di San Michele in Cioncio.
  • chiesa di Sant’Andrea, con all’interno il celebre pulpito di Giovanni Pisano.
  • chiesa di San Biagio o di Santa Maria in Borgo Strada, conserva affreschi di epoca seicentesca.

In stile rinascimentale:

In stile barocco:

In stile moderno:

Nei dintorni:

l’Ospedale del Ceppo di Pistoia

 

Risalente al 1277 anno l’Ospedale del Ceppo è storicamente luogo di accoglienza e cura a Pistoia.

Il nome deriva dal “ceppo” una parte cava di tronco d’albero dove si mettevano nel medioevo le offerte.

Nel tempo molti benefattori hanno contribuito allo sviluppo dell’ospedale. Celebri sono i fregi robbiani presenti sulla facciata vecchia (visibili nella foto). I della Robbia, discendenti della celebre famiglia di artisti di Firenze, furono difatti attivi anche a Pistoia ed è possibile vedere loro opere in San Giovanni Fuorcivitas (ceramica bianca di Luca della Robbia) e sul loggiato del Duomo (lunetta “Madonna col Bambino e Angeli” di Andrea della Robbia) .

 

Il Ceppo fu sede di una prestigiosa scuola medico-chirurgica. Interessante la sala di anatomia ubicata all’interno di un edificio nel giardino dell’ospedale. Ha la forma di un anfiteatro ovale con al centro il tavolo anatomico in marmo e ai lati due serie di banchi per gli studenti che assistevano alle lezioni. Le pareti presentano affreschi e stucchi con decorazioni geometriche e ritratti di medici illustri. Particolare la collezione di ferri chirurgici del periodo tra il XVII e il XIX secolo, oggi esposti nella Sala dell’Accademia Medica “Filippo Pacini”.

Una curiosità: si dice che il bisturi sia stato inventato proprio a Pistoia. Sembra che dal termine “pistorino” (usato per indicare un coltello sottile ed aguzzo), sia derivata la parola “bisturino” e poi “bisturì” in francese.

Cimitero Brasiliano

Nel 1944 il Brasile entrò attivamente nel teatro bellico della seconda guerra mondiale inviando in Italia un contingente militare di circa 25 000 uomini che presero parte alla campagna d’Italia al fianco delle forze alleate contro quelle dell’Asse. In particolare la Força Expedicionária Brasileira (FEB) operò in Toscana nel settore occidentale del fronte nella valle del Serchio, in Versilia e Garfagnana e sull’Appennino tosco-emiliano nel quadro della offensiva della primavera 1945 raggiungendo al termine del conflitto la città di Torino.

Al termine della guerra i corpi di 462 soldati e ufficiali brasiliani caduti furono tumulati nei pressi di Pistoia nella zona di San Rocco in uno dei tanti cimiteri militari sorti dopo il conflitto.

Nel 1960 il governo brasiliano decise di riportare in patria le spoglie dei caduti che furono tumulati a Rio de Janeiro, allora capitale federale, nel monumento nazionale ai caduti della II guerra mondiale realizzato su progetto degli architetti Mark Netto Konder e Helio Ribas Marinho nel parco Eduardo Gomes nel quartiere di Flamengo.

Nel 1967 nel luogo ove sorgeva il cimitero fu eretto un monumento votivo su progetto dall’architetto Olavo Redig de Campos, della scuola di Oscar Niemeyer, progettista di Brasilia.

Solo alla fine dei lavori venne rinvenuto il corpo di un ultimo militare che non era quindi stato trasferito in Brasile. Non fu possibile identificare il caduto e fu così deciso di lasciarlo a Pistoia come milite ignoto.

Il monumento, della cui manutenzione si occupa il governo brasiliano, è stato visitato nel corso degli anni da ben due presidenti brasiliani e da numerosi ambasciatori.

All’intervento militare brasiliano a fianco degli Alleati sono dedicati altri monumenti in Italia: a Gaggio Montano e a Vergato in provincia di BolognaSanta Croce sull’Arno e Castelfranco di Sotto in provincia di Pisa. A Montese in provincia di Modena, oltre a un monumento, è dedicata alla Força Expedicionária Brasileira una sezione specifica del locale museo storico

Ville Sbertoli

L’edificio che una volta ospitava la famosa Casa di Cura Sbertoli si erge imponente in mezzo al verde delle colline toscane. Sito in provincia di Pistoia, a una decina di minuti dal casello autostradale, l’ex manicomio Ville Sbertoli si trova insieme a molti altri edifici all’interno di un vasto complesso al quale si accede attraverso un imponente cancello in ferro verniciato di rosso.
La storia dell’ex manicomio Ville Sbertoli non è chiara, alcuni amano ricordare l’edificio come un posto d’amore, ma anche di molta sofferenza, altri come un banale centro di cura eretto da un ambizioso dottore.

La prima storia racconta che la villa in origine era la maestosa residenza della Famiglia Sbertoli e che a metà dell’Ottocento si ergeva in tutta la sua maestosità adornata da un grande e bellissimo parco. In questa lussuosa residenza però si consumava giorno dopo giorno un penoso vivere: il ricco Sig. Sbertoli che nulla poteva desiderare di più dalla vita, aveva un figlio gravemente malato, un figlio “matto” come si era soliti definire le persone con disturbi mentali. Per tutta la vita, il Sig. Sbertoli cercò una cura per il figlio senza trovarla, così prima di morire decise di donare tutti i suoi averi, compresa la villa, a un’opera pia che creasse all’interno della residenza un centro di ricovero per malati mentali, in modo da sapere il figlio in buone mani e nella tranquillità della sua casa natia.

L’altra storia racconta invece che in origine sorgessero due ville patrizie, con annessa la casa per i mezzadri, sulla collina di Pistoia: villa Franchini – Taviani e la villa Rosati. Le ville furono acquistate nel 1868 da Agostino Sbertoli originario di Fivizzano in Lunigiana e medico presso il Manicomio di San Benedetto a Pesaro. Il dottor Sbertoli spinto dalla sua voglia di fama e ricchezza sognava di aprire una Casa di Cura per malati mentali di cui diventare il direttore e così fece. Le due ville furono trasformate in Manicomio e il complesso acquistò subito molta popolarità. Per soddisfare la numerosa clientela il dottor Sbertoli decise di ingrandire il complesso sanitario e iniziò la costruzione di nuovi edifici che oggi si trovano disseminati su una vasta superficie. I pazienti vennero suddivisi nelle diverse strutture in base al sesso,allo status sociale e al grado e tipo di malattia e grazie alla riservatezza che la clinica offriva ai malati questa divenne molto famosa anche fra le famiglie facoltose. Nella clinica venivano curati pazienti affetti da moltissimi tipi di disturbi mentali, anche epilettici, alcoolisti e ipocondriaci, così Ville Sbertoli divenne rinomata anche oltre il confine italiano accogliendo pazienti da tutta Europa. Anche illustri personaggi come il poeta Severino Ferrari e l’illustre giurista Francesco Bonaini furono ricoverati a Ville Sbertoli.

Dalla seconda metà dell’Ottocento fino ai primi del Novecento nella Casa di Cura si recarono moltissimi illustri psichiatri italiani per compiere i loro consulti, alcuni dei più illustri furono Cesare Lombroso, professore di medicina legale all’Università di Torino e fondatore dell’antropologia criminale e pioniere della frenologia ed Eugenio Tanzi, che dal 1895 al 1931 fu a capo del manicomio di San Salvi a Firenze.
Nel 1898 Agostino Sbertoli morì lasciando la conduzione del manicomio al figlio Nino che continuò l’opera del padre. Nino fece ampliare le strutture, costruire una centrale elettrica all’interno del complesso e un tunnel per collegare la sede della direzione con i principali edifici per permettere comodi spostamenti ai medici e infermieri.
Nel 1920 Nino abbandonò l’attività e cedette il Manicomio a un gruppo di privati pistoiesi.
Nel 1950 il complesso fu acquistato dall’Amministrazione Provinciale di Pistoia che lo convertì in Ospedale Neuropsichiatrico Provinciale.
Nel 1978 Franco Basaglia, psichiatra di grande fama italiana, si impegnò nel compito di riformare l’organizzazione dell’assistenza psichiatrica ospedaliera e territoriale, proponendo un superamento della logica manicomiale, così il 13 maggio 1978 con la Legge Basaglia si impose la chiusura di tutti i manicomi sul territorio italiano.
Come disse lo stesso Basaglia intervistato da Maurizio Costanzo: “Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione”
L’ex manicomio passò quindi alle dipendenze della USL n. 8 di Pistoia e con il passare del tempo venne abbandonato e lasciato esposto al più triste deperimento.

La visita al sito è affascinante e ricca di sorprese, all’interno del complesso alcuni edifici sono ancora utilizzati come uffici o sedi universitarie. La villa che un tempo fu manicomio si erge solitaria nascosta dietro a una folta vegetazione sul limitare della strada che attraversa il complesso. Il giardino davanti alla villa, oggi invaso dalla vegetazione, doveva essere davvero delizioso un tempo: abbellito da due fontane identiche con statue di tartarughe che in passato zampillavano acqua, da un gazebo in ferro e da qualche palma che svetta malconcia sull’erbaccia. Le finestre sono tutte murate e la porta principale è sprangata. Le sbarre alle finestre ricordano al visitatore quello che doveva essere un tempo, sia un luogo di cura ma anche un luogo di estremo dolore. L’interno della villa è suddiviso in 3 piani più il sottotetto.
Al piano terra si trova una piccola cappella con ancora le panche e lo scheletro di quello che una volta dove essere l’altare, proseguendo la visita si incontrano stanze ingombre di lettini, schedari, fogli e cartelle. Si può anche notare una macchine elettrica che probabilmente veniva utilizzata per i trattamenti elettroterapici. Una delle stanze, la più colpita dalla mano dei vandali, ha i muri interamente ricoperti di disegni di uomini armati. Al piano di sopra si trovano altre stanze, i bagni, e quella che risulta essere la stanza più bella dell’intero edificio: interamente affrescata e decorata con stucchi, ha grandi finestre e al suo interno si trova ancora un antico pianoforte. La grande villa ha mantenuto nel tempo la sua antica altezzosità nobiliare, ma i piccoli dettagli dell’ex manicomio ricoprono l’intero edificio di un triste velo di sofferenza. I piccoli spioncini sulle porte che servivano per sorvegliare i pazienti, gli altoparlanti affissi sui muri, un vecchio telefono a muro che veniva utilizzato per comunicare all’interno della struttura: tutto ciò rimanda a quello che un tempo era un luogo di reclusione.

Attualmente la struttura pare sia in fase di restauro o, perlomeno, così lasciano intendere le impalcature e l’inaccessibilità della stessa.
E.