Pietra della Luna…

Anticamente ma anche a tutt’oggi, in India la pietra di luna è considerata una pietra sacra. Associata con la luna, la pietra era indossata della dea Diana e in Oriente amuleti di pietra di luna erano spesso appesi ad alberi da frutto per assicurare colture feconde e abbondanti e nel medio evo, dagli alchimisti, si riteneva che se tenuta in bocca, la pietra di luna poteva contribuire nel prendere decisioni appropriate.
La pietra di luna è gemma di intuizione e comprensione profonda, aiuta a bilanciare il corpo emozionale accentuando la libertà di espressione, ed attenua in particolare le tendenze aggressive.
Apportando energia femminile, la pietra di luna apre il nostro lato più yin, può stimolare il funzionamento della ghiandola pineale, bilancia i cicli ormonali interni con i ritmi della natura, allevia il dolore mestruale e nella gravidanza, favorisce la fertilità e aiuta a stimolare il sistema linfatico e immunitario. Può ridurre il gonfiore e il fluido corporeo in eccesso.
Anche se spesso considerata una pietra da donne, la pietra di luna può essere molto utile agli uomini di aprire il proprio sé emotivo.

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La pietra di luna più pregiata viene estratta principalmente dallo Sri Lanka.
Essa aiuta a essere più consapevoli del fatto che tutte le cose sono parte di un ciclo di cambiamento costante. Il momento ideale e di massima risonanza per usare lapietra di luna è durante la fase di luna piena.
Grazie alla sua associazione con acqua, la pietra di luna risulta essere molto protettiva con persone che abitano vicino a luoghi di mare.

La pietra di luna connette benissimo tra loro il secondo e sesto chakra, migliorando la sensibilità intuitiva attraverso comportamenti meno sopraffatti da sentimenti personali.
Funziona a meraviglia quando la pietra di luna è abbinata al granato, (rivelando la verità dietro le nostre illusioni) e se usata in concomitanza con l’ametista nei chakra superiori.

Cocomero love…

cocomero_we heart itE anche quest’anno l’estate è arrivata e con l’estate è possibile gustare vari tipi di frutta, tra cui uno dei più gustosi e poco zuccherati, il cocomero.

Un frutto che si può mangiare in qualsiasi ora e posto, a me piace gustarmelo sul balcone la sera osservando il bellissimo tramonto marino in compagnia.

Secondo alcuni studi condotti presso l’Università della Florida, è stato dimostrato che anche il cocomero ha proprietà benefiche, soprattutto nelle fasi iniziali che riguarda l’ipertensione, i risultati sono stati pubblicati sul giornale American Journal of Hypertension.

Questo alimento ha poche calorie, è ricco di carotenoidi, che sono antiossidanti con azione antitumorale, proteggono il sistema cardiovascolare, ed aumentano le difese immunitarie, inoltre contiene vitamine B6, vitamina C, vitamina A e fibre.

Il cocomero  contiene anche una sostanza che si chiama L-Cittrulina, che agisce sulla regolazione della pressione del sangue, infatti rende maggiormente elastiche le pareti dell’arteria.

Questa sostanza, una volta entrata nel nostro organismo viene convertita nell’aminoacido L-arginina, si forma nell’acido nitrico che agisce sui vasi sanguigni, regolando il tono e la circolazione.

Ai pazienti che hanno problemi di pre-ipertensione, viene somministrato normalmente L-arginina sotto forma di integratore, ma la sua assunzione causa i cosiddetti effetti collaterali, come nausea e diarrea, mentre il cocomero non provoca ciò.

Curare la pre-ipertensione è molto importante per evitare infarti e ictus, mangiare il cocomero e fare uso delle sue proprietà benefiche, significherebbe ridurre il consumo dei farmaci antipertensivi, limitandone gli effetti collaterali .

Catena alimentare del bosco.

L’ecosistema bosco può avere aspetti e caratteristiche diverse a seconda di dove è situato ( altitudine sul livello del mare, suolo, esposizione al sole) ed è in stretto rapporto con gli altri ecosistemi con i quali si trova in contatto (prati, stagni, laghi, fiumi, campi, siepi, ecc.).

Il bosco è uno degli ecosistemi più complessi e funziona a circuito chiuso.

Nel bosco tutto è in continuo movimento: chi nasce, chi cresce, chi muore per poi decomporsi e ritornare a far parte del ciclo della vita.

Il bosco è un tipico esempio di rete alimentare composta da:

  • vegetali, che sono i produttori;
  • animali, che si nutrono di piante (gli erbivori) sono i consumatori primari e quelli che mangiano altri animali (carnivori) che sono consumatori secondariAlcuni carnivori possono nutrirsi occasionalmente di altri carnivori e sono quindi iconsumatori terziari;
  • decompositori (batteri, funghi, insetti) che consentono ai vegetali di trovare sostanze nutritive nel terreno.

Tutto è in equilibrio fino a che non viene spezzato un anello della catena.

L’ecosistema bosco può avere aspetti e caratteristiche diverse a seconda di dove è situato ( altitudine sul livello del mare, suolo, esposizione al sole) ed è in stretto rapporto con gli altri ecosistemi con i quali si trova in contatto (prati, stagni, laghi, fiumi, campi, siepi, ecc.).

Il bosco è uno degli ecosistemi più complessi e funziona a circuito chiuso.

Nel bosco tutto è in continuo movimento: chi nasce, chi cresce, chi muore per poi decomporsi e ritornare a far parte del ciclo della vita.

Il bosco è un tipico esempio di rete alimentare composta da:

  • vegetali, che sono i produttori;
  • animali, che si nutrono di piante (gli erbivori) sono i consumatori primari e quelli che mangiano altri animali (carnivori) che sono consumatori secondariAlcuni carnivori possono nutrirsi occasionalmente di altri carnivori e sono quindi iconsumatori terziari;
  • decompositori (batteri, funghi, insetti) che consentono ai vegetali di trovare sostanze nutritive nel terreno.

Tutto è in equilibrio fino a che non viene spezzato un anello della catena.

La vita nel boscoIn un bosco si individua una catena alimentare formata da più livelli: il livello dei produttoriformato dalle piante che trasformano elementi chimici inorganici (anidride carbonica, acqua) in elementi organici (zuccheri, proteine, lipidi, acidi…); il livello dei consumatori primari formato dagli erbivori che si nutrono di piante (caprioli, lepri, api); il livello dei consumatori secondari formato dai carnivori che si nutrono di erbivori (lupi, volpi, rapaci, alcuni insetti); il livello dei decompositori (microrganismi, funghi) che attaccano tutti e tre i livelli precedenti restituendo al terreno gli elementi primari in forma minerale. In un bosco maturo si realizza così un sistema complesso di interazioni tra gli esseri viventi, il luogo ed il clima in cui essi vivono, definito ecosistema.
La raccolta della legna…

Nella piramide ecologica si evidenziano i rapporti fra le piante di un bosco e gli altri esseri viventi in un certo habitat []. Tutto il sistema è alimentato dalla luce solare.

Osservando da un punto di vista panoramico…

Le funzioni del bosco

In un bosco possiamo riconoscere molte funzioni, alle quali forse non avevamo mai pensato. Proviamo a scoprirle insieme:

Funzione produttiva: un bosco è un serbatoio di risorse che in passato erano indispensabili per la vita dell’uomo, fornendo sia legna per scaldarsi che frutti (castagne) per nutrirsi in tempo di carestia. Oggi dei boschi si usa soprattutto la legna che segue innumerevoli destinazioni, dalla cellulosa per la carta, alla mobilia, alla legna da ardere. Un bosco con le piante “in piedi” (ossia non tagliate) può essere utilizzato per produrre funghi, tartufi e frutti di bosco.

Funzione di regolatore vivente: un bosco, grazie alla fotosintesi, svolge la funzione di polmone perché ci fornisce l’ossigeno. Se i boschi scomparissero, presto l’aria risulterebbe irrespirabile. Questa è la funzione più importante per la quale i boschi sono stati creati.

Funzione idrogeologica: con questa difficile parola non si vuol intendere altro che un compito particolare e strategico che finora forse abbiamo ignorato.  Una funzione importante, legata soprattutto alla traspirazione, è quella di trattenere e rilasciare umidità in piccole goccioline nell’aria o nel terreno (effetto spugna) contribuendo così al mantenimento dell’equilibrio idrologico. Anche se non le vediamo, le radici degli alberi, degli arbusti e delle erbe trattengono il suolo, specialmente quando è più bagnato, dopo forti piogge, ed impediscono frane ed alluvioni. Bisogna evitare perciò di tagliare i boschi “a raso” eliminando contemporaneamente tutti i tronchi e le chiome.

Funzione di serbatoio di biodiversità: tutti i boschi del mondo sono un prezioso tesoro per le diverse forme di vita sia animali che vegetali che vi abitano, e per i diversi habitat che si individuano. Alcuni esempi di grande complessità biologica sono la foresta tropicale, la savana, la macchia mediterranea, i boschi centro-europei come le quercete e le faggete. L’insieme della diversità di tutte le forme viventi costituisce la bio-diversità che va protetta per la salvaguardia della stabilità dei diversi ambienti. In alcuni casi i boschi vengono utilizzati per mantenere e riprodurre animali in via di estinzione, quali lupi, linci, orsi o per daini, caprioli all’interno di aree protette.

Funzione paesaggistica: osservando un paesaggio dal balcone, da un punto panoramico, dall’aereo o dalla cima di un monte vediamo macchie verdi sparse qua e là: il bosco abbellisce il paesaggio. Lo sapevano anche molti artisti che nei loro quadri o fotografie hanno rappresentato bellissimi boschi.

Funzione ricreativa: noi tutti possiamo immergerci nel magico silenzio che si percepisce in un bosco dai bei tronchi alti, maestosi, dalle chiome verdeggianti, gustandone l’aria pura e fresca, osservandone forme, colori, e magari scoprendo le tane segrete o le impronte di alcuni animali, indagando nella speranza di incontrare uno scoiattolo, un picchio, un falco o magari una volpe o un capriolo! Al bosco possiamo accedere a piedi, ben equipaggiati, oppure in mountain bike, dove esistono percorsi attrezzati: così lo gustiamo appieno ma senza danneggiarlo.

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A TUTTA BIRRA…

Chiara, rossa o scura è una bevanda salutare a detta di tutti, medici e nutrizionisti che ne ammettono e consigliano il consumo, purché in modica quantità.

Bere per prevenire. Questo è uno degli slogan che circola ormai da tempo nel mondo medico-scientifico dove un numero sempre maggiore di studi e ricerche confermano gli effetti positivi di un moderato consumo di alcol – e della birra in particolare – sulla salute in genere e su alcune specifiche patologie in particolare.
I BENIFICI
La birra, se consumata in quantità moderata, riesce a mantenere attivo l’apparato cardiocircolatorio, apportando numerosi benefici, garantendo un minor rischio di incorrere nell’angina pectoris e nell’infarto, oltre che nell’ipertensione arteriosa e nei problemi vascolari che si possono manifestare a livello cerebrale. Inoltre favorisce l’aumento delcolesterolo “buono” e riduce il diabete. E’ fondamentale anche in menopausa, perché produce un innalzamento dei livelli degli estrogeni. Questa bevanda aiuta lo stomaco e l’intestino a funzionare meglio e la ricerca scientifica più volte è riuscita a dimostrare come un consumo regolare di birra possa limitare l’incidenza di alcuni tipi di tumore, come il cancro al colon.
Tutto questo è possibile perché il luppolo contiene diversi tipi di flavonoidi, che sono degli antiossidanti, i quali combattono i radicali liberi e i danni provocati dall’invecchiamento cellulare. Nello specifico il luppolo contiene xantumolo, una sostanza che sembrerebbe essere utile ad ostacolare la proliferazione di alcune cellule tumorali. La birra favorisce il lavoro dei reni, la diuresie, quindi, previene la formazione dei calcoli. Interviene direttamente nella calcificazione dei tessuti connettivi del nostro corpo.

LA BEVANDA PER ECCELLENZA, INVENTATA DA UNA DONNA

Birra: dal latino bibere, cioè bere. Dunque, la bevanda per eccellenza. Bevanda fermentata, moderatamente alcolica, a base di cereali. Inventata da una donna, forse casualmente, “maneggiando” cereali in cucina.. Che sia nata decisamente al femminile, lo conferma anche la mitologia degli Armeni, che attribuivano l’invenzione della birra alla dea della terra Armalu.

Da una cultura all’altra, ecco invece una dea patrocinante del calibro di Cerere, dea-madre per eccellenza, e un santo protettore, il vescovo Arnoldo, santificato intorno al 1100 per alcuni miracoli tra cui la trasformazione istantanea del mosto in birra, effettuata per salvare i suoi parrocchiani da un’epidemia di colera. In effetti, allora la birra era igienicamente molto più sicura dell’acqua, grazie proprio alla fermentazione, che ne eliminava i batteri “cattivi”.

La birra è, poi, tra le bevande che fanno bene al corpo e anche allo spirito, la più antica. Per risalire alle sue origini, occorre fare un passo indietro di parecchi millenni. A quando legumi e cereali erano alla base dell’alimentazione quotidiana. E l’orzo è stato certamente il primo cereale coltivato, quello che ha accompagnato il passaggio di molti popoli dal nomadismo alla fondazione di villaggi e città.

Il passaggio per l’uomo preistorico dalla vita nomade a quella stabile è concretamente testimoniato da diversi ritrovamenti. La presenza di un particolare frumento non selvatico (Triticum dicoccum) e di orzo (Hordeum distichum) è chiara per esempio in rilevamenti compiuti nell’area di Gerico, poco distante dalla depressione del Giordano, dove si è accertato che gruppi di uomini cominciarono ad apprezzare i vantaggi di una fissa dimora intorno al 10.000 a.C. Quanto alla storia documentabile della birra, essa parte dalla Mesopotamia, almeno 4500 anni prima della nascita di Cristo. E a iniziarla fu, appunto, una donna. Alle donne la birra è stata a lungo riservata. E alle donne si deve anche l’invenzione delle prime modalità di conservazione dei cereali che, tenuti nell’acqua, possono in effetti dare luogo a maltazione e fermentazione.

SUMERI: LA BIRRA DIVENTA UN VERO E PROPRIO “STATUS SYMBOL”

Ma tra i Sumeri, il primo popolo birraio, visto che gli ingredienti di pane e birra sono gli stessi (cereali e lieviti), e visti il successo, la diffusione orizzontale e l’acquisizione di una valore commerciale, presto il compito di birraio passò al fornaio stesso.

Tra i Sumeri la birra diventa presto uno status symbol. Ogni strato della popolazione ha diritto a quantità diverse della tanto amata bevanda: due litri al giorno di chiara a operai e impiegati, tre litri di quella più forte ai funzionari, cinque litri del tipo “top” a governatori e ai sacerdoti. E ci sono già molti tipi di birra, da quella dolce a quella aromatizzata alla cannella.

Quando i Sumeri passano la mano ai Babilonesi, la birra è già un must. E i “nuovi” iniziano subito a mettere regole (dure) per chi fa sciocchezze. Tanto per dirne una, il “Codice di Hammourabi” (1728-1686 a. C.) prevede che chi annacqua la birra prima di venderla ci venga annegato dentro.

Presso gli Egizi, la birra conquista un altro dio, Osiride (di cui è ritenuta la bevanda) e una regina, Cleopatra, che offre coppe di “cevrin” al dio dei defunti e riserva per sé, invece, coppe di “zythum”. Proprio la zythum è la prima birra assaggiata dai Greci, che la ribattezzano “zythos”. Ed è da questa radice che in seguito nascono i termini scientifici riferiti alla fermentazione, come zimotico.

Di birra parla anche (e come poteva essere diversamente?) la Bibbia. Ed è birra che gli ebrei bevono durante la festività del Purim.

In Cina, intanto, la birra è popolarissima già dal terzo millennio e, a differenza degli altri paesi, viene prodotta ricavando mosti direttamente dai cereali. Tre le varietà: miglio, frumento e – ovviamente – riso. Tanto riso…

I CELTI: IL POPOLO CHE PORTÒ LA BIRRA ALLA GUERRA

Tra i tifosi della birra all’antica più accaniti, poi, come non annoverare i celti? Nelle loro scorribande dalla Gallia alla Britannia e all’Irlanda, eccoli tracannare corni su corni di birra, prima e dopo la battaglia. Proprio l’Irlanda sembra addirittura nata sotto il segno della birra. Secondo le saghe, il paese conosce la libertà solo quando l’eroe Mag Meld riesce a strappare ai perfidi mostri Fornoriani il segreto della fabbricazione della birra, la bevanda che li rendeva immortali.

Come tutte le tecniche codificate da preservare (ed evolvere), non passa molto che la scienza del far birra trovi rifugio in convento. I monaci cominciano a mettere ordine nella produzione, dettando le norme igieniche e codificando le tecniche. E si deve a loro il primo utilizzo del luppolo come aromatizzante al posto della miriade di altre spezie, bacche, piante officinali o il “gruyt”, insieme di vari aromi introdotto in occidente dai Crociati e apprezzato a lungo, specie in nord Europa.

ANNO MILLE: LA PRODUZIONE DIVENTA INDUSTRIALE

Con l’anno Mille, intanto, inizia la nuova era della birra: la produzione in Nord Europa diventa industriale e in Germania nasce la figura del mastro birraio. Già nel 1376 ad Amburgo i birrai sono 457, divisi nelle due attività “di mare” (esportatori) e “di terra” (gli operatori locali). E dal 1200 in Europa è tutto un legiferare intorno alla birra. Fino al celebre “editto sulla purezza”, 1516, cui si deve la codifica definitiva: la birra può esser fatta solo con malto d’orzo, luppolo e acqua.

Il fatto che birra e birrai si diffondano con propulsione inarrestabile, non mette certo fine, però, all’epopea delle birre conventuali. Ancora nel sedicesimo secolo in Francia la birra destinata ai frati viene chiamata “birra dei Padri” mentre quella per le suore, più leggera ma sempre abbondante, è la birra “di convento”.

In Germania la birra attraversa tutti gli strati sociali. E la penetrazione è talmente forte che è qui che nascono le “scuole” di maestri birrai, con tanto di “stages” per i produttori. Tra le migliori quella di Monaco, tuttora in attività.

Gli Inglesi si distinguono invece – è il loro sport – per due caratteristiche: la velocissima diffusione delle birrerie, i pub, già migliaia nel 1300, e la strenua resistenza al luppolo, durata a lungo. E a questo punto la popolarità della birra in Europa è così alta e… redditizia, che, a poco a poco, autorità e case regnanti iniziano a tassarla

1620: L’AMERICA SCOPRE LA BIRRA GRAZIE AI PADRI PELLLEGRINI

La birra varca l’Oceano nel 1620, insieme ai Padri Pellegrini. Destinazione, America. Proprio mentre da questa parte del mondo una serie mirabolante di scoperte inizia a cambiarne la sintassi produttiva. In ordine di apparizione citiamo il termometro di Fahrenheit (1714); 1′ idrometro di Marin (1768); la macchina a vapore di James Watt (1785); la macchina per tostare il malto di Daniel Wheeler (1817); il “raffredatore del mosto” di Jean-Louis Baudelot (1856). E poi la macchina per il ghiaccio artificiale di Carré & Linde (1859), importante soprattutto per la possibilità di produrre birra tutto l’anno e per la nuova lavorazione detta a bassa fermentazione. Nasce così la attuale lager. E nasce allora (dalle scoperte di Pasteur) la possibilità di “pastorizzare” – volendo – ad alta temperatura la birra. Un ulteriore impulso alla preferenza verso birre sempre più chiare viene dalla diffusione delle bottiglie di vetro, iniziata a fine Ottocento, che le fanno apparire più invitanti in trasparenza.

Ed eccoci quasi ai giorni nostri. Con il XX secolo la produzione industriale vede cambiare radicalmente i volumi di produzione e le regole: i birrifici tendono a concentrarsi, a unire le forze. Come le industria di altri campi.

E IN ITALIA?
LA PRIMA FABBRICA DI BIRRA APRI’ NEL SETTECENTO…

In terra italica, i primi estimatori della birra furono gli Etruschi che, nei loro convivi, amavano consumare una bevanda fermentata moderatamente alcolica, chiamata “pevakh”, fatta inizialmente con segale e farro, poi con frumento e miele.

Anche i Romani, dominatori dell’intero continente, pur preferendo il vino, che li fa sentire più forti e civilizzati, non disdegnano però questa bevanda “barbara” che tanto piace alle popolazioni non latine. Ne è attratto Giulio Cesare che, nei suoi Commentarii, racconta come i Celti iniziassero ogni trattativa con una porzione della bionda bevanda; Augusto ne esalta, addirittura, le virtù terapeutiche, convinto di essere riuscito a guarire da un fastidioso mal di fegato proprio grazie alla “cervisia” ed anche Nerone ne fu fervido estimatore come Agricola, il governatore della Britannia, che, tornato a Roma nell’83 d.C. insieme a tre mastri birrai di Glavum, l’odierna Gloucester, trasformò la sua residenza nel prototipo di un moderno pub, con tanto di birreria e mescita annesse.

Alla caduta dell’Impero, con la presa del potere da parte di Visigoti, Ostrogoti e Longobardi, la birra diventa la bevanda preferita non solo del popolo ma anche di regine, Teodolinda, e di santi, San Colombano che, appena arrivato a Bobbio dalla natia Irlanda, compie due miracoli con questa bevanda.

Nel Medioevo continua a crescere il consumo della birra, specialmente nel Nord d’Italia anche a causa delle continue incursioni dei Lanzichenecchi. La birra è consumata in prevalenza dagli uomini, mentre per le donne l’assunzione deve avvenire sotto controllo medico. Come sono lontani i tempi in cui le matrone romane potevano disporne a piacimento per imbiondirsi i capelli o per salutari bagni! Secoli dopo, è un matrimonio aristocratico a rendere la birra ancora più popolare. Correva l’anno 1494 quando Massimiliano I d’Asburgo sposa Bianca Maria Visconti, nipote del duca di Milano Ludovico il Moro che, per festeggiare le nozze, offrì a tutti i milanesi un boccale della schiumosa bevanda. La birra che si beve in Italia fino a questo momento è, però, tutta d’importazione. Le cose cambiano a metà del ‘700, quando Lazzaro Spallanzani scopre che la fermentazione è il risultato del metabolismo di un essere vivente: il lievito. La prima vera fabbrica di birra apre a Nizza Marittima, ancora italiana nel 1789, ad opera di Giovanni Baldassarre Ketter. Due anni dopo Giovanni Debernardii rileva l’attività e ottiene la licenza per vendere la birra in tutto il Piemonte. E qualcosa la birra deve rendere se , a partire dal 1814, i Savoia cominciano a tassarla… Pochi anni dopo, nel 1890, le aziende che producono birra nel nostro paese sono già 140: quasi tutte al Nord, grazie all’abbondanza di acque surgive, e per la presenza austriaca sul territorio che ha portato buoni insegnamenti per quanto concerne la produzione. Ma com’erano le prime birre “made in Italy”? Si trattava prevalentemente di ‘birroni’, bevande forti ad alta fermentazione che, abitualmente, si mischiavano con l’acqua per stemperarne il gusto. Con l’aiuto dei mastri birrai austriaci, boemi e tedeschi la birra italiana migliora di anno in anno e, dal 1890 alla fine del secolo, aprono 150 nuove fabbriche, anche al Sud. A questo punto non si può più dipendere dall’estero e gli industriali iniziano a creare colture di orzo da birra e a costruire malterie proprie: la prima è quella sorta ad Avezzano, nella Piana del Fucino, che prende il nome di “Le Malterie Italiane”.
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Dom Pérignon…

Pierre Pérignon (Sainte-Menehould1639 – Hautvillers24 settembre 1715) è stato un monaco francese, appartenente all’ordine benedettino, spesso indicato, forse erroneamente, come l’inventore dello Champagne. Una varietà di questa bevanda, il famoso Dom Pérignon, porta il suo nome.

Pierre Pérignon era figlio del cancelliere di un giudice della città di Sainte-Menehould, nella regione francese della Champagne-Ardenne.

Il Dom Pérignon fu, secondo lo studioso inglese Laurence Venn , il primo champagne definito “di prestigio”. La prima vendemmia risale al 1921, ma il prodotto fu rilasciato e venduto al pubblico solamente nel 1936, dopo la Grande depressione. Il Dom Pérignon è prodotto esclusivamente durante gli anni migliori della vendemmia, e l’uva usata per produrlo proviene dal raccolto del medesimo anno, a differenza di altri tipi di champagne.

Dom Pérignon Rosé:Immagine

Dom Pérignon Rosé – Vintage 1996 Le caratteristiche meteorologiche dell’annata. L’annata presenta forti contrasti, con un’estate capricciosa i cui passaggi piovosi non bastano per compensare un deficit idrico assai precoce. Sono quindi i periodi di caldo intenso dei mesi precedenti il raccolto (il cui inizio varia dal 16 settembre al 1° ottobre) che rendono possibile la maturità eccezionale dell’annata, una maturità caratterizzata da un equilibrio inedito tra potenziale alcolico e acidità. La degustazione. Il profumo di malto si mescola rapidamente ai frutti maturi, alla pescanoce e alla fragola di bosco. La sensazione complessiva si chiude con accenti torbati e affumicati. L’aroma è il paradosso che segna l’annata, poiché concentrazione e movimento rivaleggiano: un’affermazione d’audacia e d’autorità. Il gusto progredisce, con forza, teso, scintillante, risoluto. Il finale è fermo, sottolineato dalla spezia leggermente vanigliata.

Piscine Pistoia

Piscina Convento, Pistoia

Piscina Convento, Pistoia

Se non sapete dove passare una giornata in totale relax vi consiglio di andare in piscina!

Ci sono molte piscine nella zona di Pistoia!
A parere personale a me piace molto ” Il Convento” non si trova tanto lontano dal centro ed è semplice raggiungerla!

Vi elenco di seguito tutte le piscine aperte nella zona di Pistoia!

Il Convento
Hotel e Ristorante
Via San Quirico, 33
Pistoia.
Tel. 0573 452651

Il Castagno
Via del Castagno, 46
Pistoia.
Tel. 0573 42193

Piscina Panda
Pieve A Celle, 71
Pistoia
Tel. 0573 477284

Hotel Villa Cappugi
Via Collegigliato, 45,
Pistoia
Tel. 0573 450297

Piscine Cantagrillo
Via Castelnuovo, 24
Cantagrillo, Pistoia
Tel. 0573 929159

Il Boschetto
Viale Adua, 467
Pistoia
Tel. 0573 401336

COGIS
Via F. Coppi 1,
Montale, Pistoia
Tel. 0573 556790

Le Forri Club
Via della Crocina, 3,
Valdibrana Pistoia
Tel. 0573 48456

ECOSISTEMA…

L’ecosistema è un sistema complesso formato da organismi che vivono in un determinato ambiente. Gli animali e le piante costituiscono le componenti biotiche dell’ecosistema, mentre il sottosuolo, l’aria e l’acqua, la luce, la temperatura, il clima, le piogge, ecc. fanno parte della componente abiotica. Le componenti biotiche e abiotiche instaurano tra loro un insieme di relazioni che caratterizzano l’ecosistema stesso e lo portano in una situazione di “equilibrio” temporaneo. Sulla base della loro funzione all’interno di un ecosistema, le componenti biotiche (gli organismi viventi), si possono suddividere in:
produttori (piante, alghe e alcuni batteri): sono gli organismi “autotrofi” che producono da sé la sostanza organica per vivere e accrescersi, utilizzando semplici molecole inorganiche come l’acqua, l’anidride carbonica (CO2) e i nitrati
consumatori: sono organismi “eterotrofi”, poiché non sono in grado di produrre il proprio nutrimento, e si cibano quindi di produttori (ad esempio i consumatori erbivori, come le mucche e le pecore, che mangiano l’erba dei prati) o di altri consumatori (i consumatori carnivori come il leone o l’uomo stesso)
decompositori: sono funghi e batteri che si cibano decomponendo i tessuti degli organismi morti.
Ogni ecosistema contiene una definita quantità di materia organica che comprende tutti i suoi organismi vegetali e animali; con il termine di biomassa si identifica il peso di tale materia, calcolato allo stato secco e per unità di superficie occupata dall’ecosistema stesso.La-madre-naturaleza-en-tu-casa-regalos-originales6-600x250

FOSSILI…

All’inizio del 1800 gli scienziati giunsero finalmente alla conclusione che i fossili erano i resti più o meno modificati di organismi vissuti milioni di anni prima, e da allora la paleontologia, la scienza che li studia, ha fatto enormi balzi in avanti.
Più anticamente le idee erano molto confuse e la teoria maggiormente accreditata considerava i fossili, queste strane pietre dalla forma bizzarra, come forme di vita a cui Dio non aveva distribuito l’anima, in due parole esseri viventi mancati.

Il termine fossile (dal latino fodere, scavare) in paleontologia abitualmente viene usato per indicare resti integri o parziali di organismi un tempo viventi, più in generale viene usato per una qualsiasi testimonianza di vita geologicamente passata (antecedente all’epoca attuale): resti animali, quali ossa, denti,uova, conchiglie; resti vegetali, quali foglie, tronchi, pollini; evidenze di attività vitale (strutture di bioturbazione come tane e orme); tracce legate all’alimentazione (coproliti)

In maniera molto semplice si può definire un fossile come il risultato di un processo che inizia con la morte di un qualche essere vivente, prosegue con il suo seppellimento e termina con la sostituzione delle molecole organiche dell’essere stesso con le molecole inorganiche presenti nel sedimento in cui è seppellito.
In realtà solo una piccolissima parte degli organismi vissuti nel passato si è conservata allo stato fossile. Normalmente i resti di un animale o di una pianta si decompongono completamente nel giro di pochi anni non lasciando alcuna traccia della loro breve esistenza. Affinché ciò non avvenga occorrono due distinte condizioni: che l’organismo subisca un rapido seppellimento, e che l’organismo possieda delle parti dure (vedremo che questa seconda condizione non sempre necessita di essere soddisfatta).

La paleontologia, è una branca della geologia che si occupa dello studio delle antiche forme di vita e si basa sull’esame dei fossili, ossia dei resti o delle impronte di organismi del passato, che si sono conservate fino a noi. La maggior parte dei fossili ritrovati rappresentano resti parziali di animali (denti, ossa, frammenti di conchiglie ecc…), è infatti molto raro ritrovare resti di animali completi. Questi sono casi eccezionali dovuti a speciali condizioni climatiche e geologiche che possono permettere una perfetta conservazione (come imammut trovati congelati nella tundra siberiana e dell’Alaska, o i resti di tardigradi scoperti in una grotta, molto asciutta, del Nevada).
Ritrovi,